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Venerdì sera di parole.

Non sono abituata a dialogare con persone che hanno qualcosa da dire. Ieri  era cominciato come il classico venerdì sera, in un locale affollato e pieno di niente. Poi la serata è mutata, piacevolmente. Ho trovato una persona che era in vena di comunicare. Una persona che per quanto sia "alternativa" aveva voglia di essere ascoltato e di ascoltare a sua volta. Non è facile interfacciarsi con qualcuno così. La maggior parte della gente parla senza dire niente e finge di ascoltare. E proprio per questo io evito le conversazioni inutili, passando per una che sta sempre in silenzio. Ma di cose da dire ne ho a bizzeffe, anche banalità, ma ho bisogno di qualcuno disposto ad ascoltarmi davvero. E più di tutto ho la necessità impetuosa di sentirmi raccontare cose nuove, di conoscere realmente le persone nel profondo, di imparare da chiunque voglia anche solo per qualche minuto insegnarmi qualcosa di suo. Mi ha raccontato delle sue numerose cicatrici. Fisiche. La storia di ognuna. Vorrebbe togliersene una dal viso, perchè effettivamente ne altera il disegno, però in tutta onestà penso che le cicatrici siano dei trofei, delle vittorie da sventolare sotto gli occhi di tutti. Sono dei segni di avvenimenti ai quali siamo sopravvissuti. E diventano parte della nostra fisionomia, che muta insieme al carettere nel tempo. Dalle cicatrici siamo passati alla fede e non so come agli egiziani. Ho imparato che le piramidi sono state progettate secondo un metodo che è tutto il contrario della legge base dell'architettura per cui un edificio dovrebbe essere costruito dalla base all'apice alleggerendo sempre di più la struttura. La punta di una piramide pesa da sola un terzo  della base però continua nei millenni a restare dov'è. Perchè? Nessuno sa spiegarlo. Non sarei più andata a casa ieri notte, rapita com'ero dal narratore di storie. Mi sembrava d'essere tornata bambina, quando ascoltavo la mia nonna che inventava ogni sera una storia nuova. Ero affamata di conoscenza. Lo sono ancora, e lo sarò sempre. Grazie D.

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Io scrivo, prima di tutto, per necessità. Oggi è la Vigilia di Natale e sento la necessità di farlo, perchè mi è stata fatta una domanda banale tempo fa e la mia risposta tuttora non mi soddisfa.  "Ti piace il Natale?" E' una domanda banale, no? Eppure non lo è. La mia risposta è stata frettolosa, troppo superficiale, perchè non me l'aspettavo e perchè era tanto che non rivolgevo a me stessa questo interrogativo. Ricordo una me che adorava questo periodo dell'anno, il più bello di tutti. Ricordo i miei ricordi dei Natali passati, dei nonni intorno alla tavola, delle tombolate, dell'ansia sotto il piumone nell'avvertire rumori sospetti di zoccoli di renna, della meraviglia dei regali. Ricordo un tardo pomeriggio, io sdraiata sopra le gambe di babbo mentre lui mi faceva ridere suonando le mie costole come fossero le corde di una chitarra, mentre un'ombra di Babbo Natale passava dietro i vetri della finestra del salotto. Ricordo la musica che risuonava ne

L' ardire.

 Alla domanda «Come immagini la tua mente?» ho risposto «Come una rete incasinata». «Puoi dirmi qualcosa di più di questa rete?» La vedevo come una serie di ragnatele parallele fra loro disposte su piani che si intersecano a creare un intrico di fili grigi, a maglie abbastanza strette. Sfondo nero. E mi sentivo costretta tra quelle reti. «Cosa faresti a quella rete?» Ho mimato il gesto di allargarla partendo dal centro e spingendo verso i lati in modo che le ragnatele rimanessero sui bordi e al centro aumentasse il nero. Poi ho visto un volto emergere da quel buio. E poi piano piano quel tunnel di fili si è trasformato in un tunnel fatto di tronchi e chiome verdi, fitti fitti da schermare in buona parte la luce del sole che filtrava nel tentativo di rischiarare tutto. E poi ho aggangiato il ricordo della mia poesia preferita, I Boschi di Westermain, e l'immagine della copertina del mio libro preferito in cui nel mezzo del bosco è dipinta una casa. "Entra in quei boschi incanta

I Boschi di Westermain.

Entra in quei boschi incantati tu che ne hai l'ardire. Niente ti farà del male sotto le foglie Più di quanto non ne faccia il nuotatore alle onde che fende. Getta in alto il tuo cuore lassù con l'allodola, Camminando in pace con il topo ed il verme, viaggerai bene. Solo per timore del buio Trema, ed essi lascieranno la loro forma. Migliaia di occhi sotto i cappucci stanno intorno ai tuoi capelli. Entra in quei boschi incantati tu che ne hai l'ardire. George Meredith La mia poesia preferita di sempre. Buon 1 Maggio!